Parkinson: disturbi cognitivi e affettivi

La malattia di Parkinson presenta spesso un’associazione con quadri di demenza e con deficit delle funzioni cognitive.In circa il 10-15% dei pazienti con morbo di Parkinson si sviluppa una demenza.
La demenza associata a malattia di Parkinson è caratterizzata da rallentamento cognitivo e motorio, da compromissione delle funzioni esecutive, e da deficit della memoria di recupero. Tuttavia, il quadro clinico della demenza, nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, è molto variabile e le sue caratteristiche non sono uniformi.
I principali fattori di rischio legati allo sviluppo di disfunzioni cognitive e di demenza nei pazienti con MP sono l’età avanzata, l’esordio della sintomatologia motoria in età avanzata, i precoci eventi confusionali o psicotici correlati alla terapia dopaminergica, il coinvolgimento assiale e del linguaggio, i disturbi motori severi (specialmente bradicinesia), i bassi punteggi a test cognitivi (specialmente alla fluenza verbale e ai test esecutivi), la depressione e il fumo.
I disturbi cognitivi si presentano con prevalenza del 40%, possono comparire anche in uno stadio iniziale della malattia e, quindi, in assenza di una vera demenza.
Il disturbo cognitivo più caratteristico e frequente della MP viene spesso individuato nella cosiddetta bradifrenia o acinesia psichica, considerata come il corrispettivo cognitivo della bradicinesia (rallentamento nell’esecuzione del movimento).
Il termine bradifrenia viene usato per indicare molteplici difficoltà, intellettuali e psicologiche che, nei pazienti affetti da malattia di Parkinson, si evidenziano come perdita di concentrazione, incapacità a creare nessi logici, tendenza alla perseverazione e rallentamento generalizzato dei processi di pensiero. Quest’ultimo si rende evidente con un’anomala lentezza , da parte del malato, nell’afferrare ed elaborare i concetti, pur senza deficit nell’accuratezza degli stessi. Va infatti sottolineato che, pur potendo determinare un’impressione di apparente demenza, la bradifrenia non corrisponde di per sé (o necessariamente) ad un deterioramento diffuso delle capacità cognitive.
Caratteristiche dei disturbi legati a disfunzione dei lobi frontali sono le alterazioni delle funzioni attentive, come la tendenza ad essere facilmente e tenacemente attratti da aspetti irrilevanti dell’ambiente e l’incapacità di dirigere volontariamente l’attenzione su stimoli ed eventi interessanti.
Il paziente affetto dalla malattia mostra incapacità a passare in modo agile e spontaneo da un concetto o da un comportamento ad un altro, non riuscendo quindi ad abbandonare prontamente un’ idea o un compito, anche semplice, in risposta al modificarsi delle condizioni ambientali (perseverazione).
È stato anche descritto un significativo deficit del ragionamento astratto, che fa si
che il paziente colga solo gli aspetti più concreti e semplici della realtà. La memoria, e più precisamente la “memoria di lavoro”, ovvero quel sistema di ripasso delle informazioni appena acquisite, appaiono compromessi; i deficit interessano non tanto la capacità di memorizzare quanto la possibilità di accedere ai dati memorizzati.
Migliore diviene la capacità di richiamo attraverso il riconoscimento; in presenza di qualche elemento esterno che faciliti la ricerca del materiale da rievocare.
In sintesi, in questa malattia non si verifica una perdita delle tracce mnesiche e dei ricordi immagazzinati, ma una difficoltà ad elaborare e mettere in atto spontaneamente le strategie adeguate per accedere a tali ricordi.
La memoria a lungo termine appare compromessa, specie per quanto riguarda la memoria episodica e la memoria procedurale, quel particolare tipo di memoria implicita (inconsapevole) che conserva ed attiva la procedura necessaria per lo svolgimento di prestazioni, motorie o cognitive più o meno complesse.
Anche l’apprendimento di nuovo materiale, comunque, appare compromesso, in parte a causa di una carenza di attenzione e in parte per la mancanza di un efficiente strategia d’immagazzinamento del materiale.
Sebbene in pazienti non dementi disturbi del linguaggio non influiscano in genere sull’efficacia complessiva della comunicazione, essi caratterizzano la malattia di Parkinson. Tali disturbi riguardano la comprensione di frasi, il processo semantico e l’integrazione lessico-grammaticale.
L’assenza di correlazione tra deficit cognitivi e la gravità dei sintomi motori ed il fatto che i deficit cognitivi non migliorano dopo la terapia farmacologia anche quando quest’ultima riesce invece a migliorare di molto la compromissione motoria, fa ritenere che le stesse lesioni sottocorticali non siano responsabili di entrambi i tipi di deficit.
Trattamento della MP con demenza

La strategia piu efficace nel trattamento della demenza in corso di MP consiste nel ridurre ed eliminare farmaci che da un lato possono causare od esacerbare i deficit cognitivi e dall’altro sono relativamente meno efficaci nel controllare la sintomatologia motoria.

Sedativi ed ansiolitici dovrebbero essere gradualmente ridotti e, se possibile, sospesi. Farmaci con attività anticolinergica, quali il triesifenidile e gli antidepressivi triciclici, possono causare od esacerbare il deficit cognitivo ed anche l’ideazione psicotica nell’anziano e dovrebbero essere gradualmente eliminati nei pazienti con disfunzioni cognitive.

Fra i farmaci antiparkinsoniani, la selegilina e l’amantadina dovrebbero essere sospesi per la loro

propensione a provocare psicosi. Se ciò non dovesse risultare sufficiente si dovrebbe prendere in

considerazione l’eventualità di ridurre i d.opaminoagonisti e la levodopa. Deve anche essere sottolineato comunque il fatto che gli agenti dopaminergici possono migliorare alcuni aspetti cognitivi come dimostrato dai migliori tempi di reazione dei pazienti in fase “on” alla stimolazione sensoriale, uditiva e visiva, simultanea, rispetto ai tempi deficitari dei pazienti in fase “off “.

INIBITORI COLINESTERASI

Alcuni studi  hanno valutato l’effetto degli inibitori dell’acetilcolinesterasi sia sui deficit cognitivi che sui disturbi motori nella demenza in corso di MP. Sono stati eseguiti studi per la valutazione dell’efficacia di donepezil,  in questi è stata dimostrata l’efficacia del farmaco sul

quadro cognitivo senza aggravamento dei sintomi parkinsoniani. Altri studi con galantamina e con rivastigmina hanno dimostrato un uguale efficacia sui disturbi cognitivi in corso di malattia di Parkinson.

 

I Disturbi “Affettivi” nella Malattia di Parkinson
La più comune complicanza psicologica nel morbo di Parkinson è rappresentata dalla depressione. Sintomi depressivi sono presenti nel 25-40% dei casi e possono essere precedenti o concomitanti al quadro neurologico.
Si tratta per lo più di una depressione di lieve o moderata entità. Essa ha più spesso caratteristiche omogenee; più comuni sono i disturbi distimici e le depressioni maggiori, mentre il disturbo bipolare si ritrova eccezionalmente.
Tuttavia, quando la depressione compare in forma lieve, in uno stadio iniziale della malattia e prima del caratteristico quadro sintomatologico motorio, la diagnosi di un concomitante stato depressivo può divenire difficoltosa; infatti molti segni, quali il rallentamento psicomotorio, l’espressione facciale, il tono della voce, la variazione del ritmo sonno-veglia, dell’appetito e della libido, fanno parte della sintomatologia propria del Parkinson o sono attribuibili a farmaci utilizzati per il trattamento.
Il fatto che la depressione possa precedere il quadro neurologico, possa non essere correlata alla gravità della malattia e al quadro di inabilità funzionale, sia di intensità maggiore rispetto ad altre malattie croniche invalidanti, fa pensare ad una patogenesi endogena del quadro affettivo collegato alla malattia. Pertanto la depressione nella malattia di Parkinson è stata attribuita da parte di alcuni ricercatori alle conseguenze della diminuita capacità di movimento e al generale stato di stress conseguente a tale inabilità; da parte di altri, invece, a una diminuita capacità di risposta del sistema serotoninergico.
I pazienti depressi con Parkinson mostrano livelli dei metaboliti della serotonina più bassi di quanto non accada ai pazienti con Parkinson non depressi.
La ridotta attività nella corteccia prefrontale suggerisce inoltre che l’alterazione dell’umore è associata a un danno a carico dei lobi frontali, il quale contribuisce anche ad alcune modificazioni affettive e comportamentali osservabili con alta frequenza: la tendenza ad abbandonare le proprie attività quotidiane ed i propri interessi, la perdita di iniziativa, un atteggiamento apatico e abulico. Talora si accompagnano alla depressione, pessimismo, mancanza di interesse, autosvalutazione, tendenza al suicidio, disforia e sintomi somatici con anoressia e insonnia, e la presenza di una componente ansiosa.
I disturbi ansiosi, per lo più disturbi fobici, come irrazionale paura di cadere ( a causa dell’instabilità posturale: i pazienti con morbo di Parkinson perdono i riflessi di raddrizzamento, cosicché, se spinti od urtati con forza, facilmente cadono) e fobie sociali, ma anche quadri di ansia generalizzata e attacchi di panico sono abbastanza comuni.
Frequenti i disturbi psicotici quali allucinazioni specie visive e disturbi del pensiero, attribuiti alla terapia farmacologica.
Marcate oscillazioni del tono dell’umore (da eutimia a sintomi d’ansia e/o depressione) si notano anche in relazione al fenomeno “on-off” (modificazione della funzionalità motoria da normale “on” per 1-2 ore dopo l’assunzione del farmaco, all’immobilità quasi totale “off”). In questo caso fluttuazioni d’umore e della motilità spesso procedono parallelamente.

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