Farmaci Antiparkinson

I farmaci disponibili per il trattamento della malattia di Parkinson sono estremamente efficaci per alleviare i sintomi della malattia e alcuni di questi potrebbero ritardarne la progressione (neuroprotezione) anche se, oggi come oggi, non sussistono evidenze scientifiche certe.

E’ bene sottolineare che il trattamento antiparkinson deve essere sempre valutato dallo specialista considerando lo stato di salute complessivo del paziente. Il medico deve quindi personalizzare la terapia antiparkinson prescrivendo i farmaci secondo i bisogni specifici del malato. Qui di seguito sono indicati i farmaci attualmente disponibili per la cura della malattia di Parkinson.

AMANTADINA (MANTADAN)

Questo farmaco ha modesti effetti antiparkinsoniani: aumenta il rilascio della dopamina e inibisce la trasmissione colinergica (innervazione eccitatoria). Nella fase iniziale della malattia di Parkinson, l’amantadina si è dimostrata in grado di migliorare i sintomi parkinsoniani, in particolare il tremore. Inoltre, negli stadi più avanzati della malattia, è risultata efficace nell’attenuare le discinesie indotte da levodopa, senza comprometterne l’effetto terapeutico.

E’ stato anche osservato che l’amantadina potrebbe avere possibili proprietà neuroprotettive attraverso il blocco dei recettori striatali N-metil-D-aspartato (NMDA) dell’acido glutammico che si ritiene possano mediare la morte dei neuroni produttori di dopamina. L’ipereccitazione dei recettori NMDA esercitata dal glutammato potrebbe essere, infatti, responsabile della perdita dei neuroni dopaminergici.

ANTICOLINERGICI

I farmaci anticolinergici (biperidene, Akineton; orfenadrina, Disipal; triesifenidile, Artane) trovano impiego nella terapia del morbo di Parkinson, soprattutto, per il controllo del tremore. Negli ultimi anni il loro ruolo terapeutico è stato notevolmente ridimensionato a causa dei pesanti effetti collaterali che possono provocare e che quindi ne limitano l’utilizzo.

Le controindicazioni assolute all’uso degli anticolinergici sono: il glaucoma ad angolo acuto e l’ipertrofia prostatica. Entrambe queste condizioni possono, infatti, aggravarsi con la somministrazione di questi farmaci. Diverse linee guida ne sconsigliano, inoltre, l’impiego in pazienti anziani (oltre i 70 anni) a causa sia di un possibile effetto negativo sui processi cognitivi, specie della memoria a breve termine, sia delle loro frequenti complicanze di tipo neuropsichiatrico (allucinazioni, sogni vividi, confusione).

Per minimizzare il rischio di effetti collaterali è necessario iniziarne la somministrazione con un basso dosaggio aumentandolo, poi, in modo lento e graduale fino a raggiungere livelli utili.

DOPAMINOAGONISTI

Ai dopaminoagonisti sono riconosciuti potenziali vantaggi rispetto alla levodopa.

Questi farmaci stimolano direttamente i recettori dopaminergici post-sinaptici e quindi non richiedono di essere trasformati in una forma attiva. Il loro assorbimento non è dipendente dallo svuotamento gastrico o dalla presenza di aminoacidi nella dieta. Hanno, inoltre, una emivita più lunga rispetto alla levodopa e in teoria possono garantire una stimolazione dopaminergica più stabile.

Numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti che avevano iniziato la terapia con un farmaco dopaminoagonista avevano presentato con minore frequenza e più tardivamente la “sindrome da trattamento a lungo termine con levodopa” rispetto, invece, ai malati che fin dall’esordio della malattia avevano assunto la levodopa. Il dopaminoagonista, però, non è altrettanto valido come la levodopa, e quando usato da solo, in monoterapia, risulta efficace nell’80% dei malati per i primi due anni, nel 50% fino 3 anni, e solo nel 20% dopo 5 anni di trattamento.

Tuttavia, per quanto possibile, è consigliabile iniziare il trattamento sintomatico della malattia di Parkinson con un farmaco dopaminoagonista al quale aggiungere la levodopa nel momento in cui si osserva un peggioramento nel decorso della malattia.

Questi farmaci devono essere usati solo sotto stretta sorveglianza e su consiglio di specialisti parkinsonologi. L’introduzione del dopaminoagonista, infatti, deve avvenire in modo assai lento e graduale, poiché numerosi sono gli effetti collaterali anche spiacevoli, che possono verificarsi con un uso non corretto di questi farmaci.

Alcuni tra i farmaci dopaminoagonisti attualmente disponibili per il trattamento della malattia di Parkinson sono Parlodel (bromocriptina), Mirapexin (pramipexolo) e Requip (ropinirolo).
E’ stata recentemente realizzata una nuova formulazione di ropinirolo (REQUIP) e pramipexolo (MIRAPEXIN) a rilascio prolungato che evita una pluri-somministrazione giornaliera di farmaco.
Per il ropinirolo e pramipexolo a rilascio prolungato è infatti prevista una unica dose complessiva giornaliera , generalmente mattutina di farmaco. Le nuove formulazioni di sono risultate significativamente efficaci sui sintomi diurni e notturni della malattia di Parkinson, presentando il vantaggio di dismettere il principio attivo in modo continuo e fisiologico durante le 24 ore al fine di evitarne brusche oscillazioni nelle concentrazioni plasmatiche.

Tra i dopaminoagonisti la maggiore innovazione è sicuramente offerta dall’introduzione nel prontuario farmaceutico della Rotigotina (NEUPRO) un nuovo dopaminoagonista non-ergolinico con una struttura chimica simile alla dopamina e all’apomorfina ma che si differenzia dagli altri dopaminoagonisti perché è liposolubile e può quindi essere completamente assorbito attraverso la cute.
La rotigotina viene pertanto somministrata attraverso un cerotto transdermico che ne consente un rilascio costante nelle 24 ore (dosaggi da di 2-4-6-8 mg) realizzando così una stimolazione continua e non invasiva dei recettori dopaminergici. Gli effetti collaterali sono simili a quelli degli altri dopaminoagonisti (nausea, vomito, sonnolenza), ma occorre tenere presente l’eventualità di reazioni locali nel sito di applicazione del cerotto. Fra le precauzioni particolari, si raccomanda ora di conservare il cerotto in frigorifero (2°C- 8°C).
Neupro è prescrivibile secondo il Servizio Sanitario Nazionale.

APOMORFINA

L’apomorfina (Apofin) è un potente farmaco agonista del ricettore della dopamina che viene somministrato per via infusiva sottocutanea. E’ efficace per il trattamento delle fluttuazioni motorie severe, pluri-quotidiane, resistenti alla terapia con levodopa e dopaminoagonisti orali e rispondenti ‘al bisogno’ alle iniezioni sottocutanee di apomorfina oppure per controllare la sintomatologia motoria in pazienti affetti da morbo di Parkinson avanzato che necessitano del ricorso a frequenti iniezioni giornaliere di apomorfina.

I pazienti che assumono Apofin devono associare un farmaco antiemetico come il domperidone (Motilium, Peridon) per contrastare nausea, vomito, variazioni della pressione del sangue.

La prima dose di Apofin® deve essere somministrata dal medico in modo da poter individuare il giusto dosaggio e per osservare gli effetti collaterali.

E’ bene che un familiare sia addestrato ad effettuare l’iniezione sottocutanea di apomorfina poiché il paziente potrebbe non essere in grado, trovandosi in uno stato “off” , di maneggiare la siringa. Questo farmaco è da ritenersi quindi un farmaco “salva vita” da utilizzare da parte di quei pazienti che manifestano tenaci ed imprevedibili episodi di “off”.

LEVODOPA

La levodopa è attualmente il farmaco più efficace per trattare i sintomi della malattia di Parkinson. Tuttavia, nonostante la levodopa abbia dimostrato di migliorare significativamente i sintomi parkinsoniani, a lungo termine causa discinesie e fluttuazioni motorie. Si ritiene, quindi, opportuno ritardarne l’utilizzo nel trattamento della malattia di Parkinson.

Questo farmaco è associato alla carbidopa (Sinemet) oppure alla benserazide (Madopar) per prevenire effetti collaterali correlati al metabolismo periferico della levodopa (come nausea, vomito, variazioni della pressione del sangue, sudore) ed aumentare la disponibilità centrale di levodopa.

La levodopa/carbidopa (Sinemet) è disponibile nella formulazione standard a immediato rilascio e nella formulazione a rilascio controllato (Sinemet CR) che viene assorbito più lentamente e procura livelli plasmatici di levodopa/carbidopa più protratti che la formulazione standard.

Sinemet CR è più adatto nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson e consente una riduzione del numero delle dosi giornaliere di levodopa da assumere. Dovrebbe, però, essere sostituito con levodopa/carbidopa a immediato rilascio (Sinemet) quando sono presenti fluttuazioni motorie in quanto permette di raggiungere più rapidamente migliori livelli di levodopa nel sangue e quindi accelerare i benefici sintomatici.

Sirio una nuova formulazione orale di levodopa (melevodopa) in compresse effervescenti altamente solubili in acqua che ne facilita la somministrazione e consente un migliore assorbimento della levodopa con una rapida comparsa dell’effetto terapeutico sulla sintomatologia parkinsoniana.

Stalevo, è una associazione di 3 principi attivi: levodopa, carbidopa (inibitore dell’enzima dopa decarbossilasi) ed entacapone (inibitore dell’enzima catecol-O-metiltransferasi). La carbidopa e l’entacapone inibiscono il metabolismo periferico della levodopa e, rallentandone la degradazione nell’organismo, più levodopa può raggiungere il cervello per essere convertita in dopamina. Quindi, queste sostanze potenziano e prolungano l’effetto della levodopa a livello del sistema nervoso centrale. Associando levodopa con entacapone si ha anche un aumento dell’emivita della levodopa che consente minori fluttuazioni di levodopa nel sangue.

Le condizioni motorie del paziente sono strettamente correlate ai livelli plasmatici della levodopa. Una concentrazione plasmatica di levodopa a livelli maggiormente stabili riduce la comparsa delle fluttuazioni motorie.

Lo sviluppo delle fluttuazioni motorie è probabilmente legato sia all’uso prolungato della levodopa, sia alla progressiva perdita dei neuroni dopaminergici. Tuttavia, anche se è opportuno ritardarne fino a che sia possibile l’utilizzo, la levodopa rimane il farmaco gold standard per il trattamento della malattia di Parkinson.

INIBITORI DELLE CATECOL-O- METILTRANSFERASI
(I-COMT)

E’ la categoria di farmaci più nuova da associare ai farmaci utilizzati per il trattamento della malattia di Parkinson. L’uso di farmaci inibitori delle COMT, quali l’entacapone e il tolcapone, può ridurre le fluttuazioni motorie attraverso un prolungamento dell’emivita della levodopa e quindi rendere più stabile e meno pulsatile la stimolazione dopaminergica.

Tasmar (tolcapone) e Comtan (entacapone) sono inibitori, nel tratto gastrointestinale, dell’enzima catecol-o-metiltransferasi. Attraverso l’inibizione di questo enzima, una maggiore quantità di levodopa è in grado di raggiungere il cervello invece di essere metabolizzata prima di arrivarci. È stato stimato che, associando uno di questi farmaci alla levodopa, ne arriva al cervello circa il 20% in più. Per il loro specifico meccanismo d’azione, Comtan e Tasmar, devono essere somministrate solamente in associazione con la levodopa, risultando inefficaci in assenza del substrato su cui agire (rif. Stalevo). Questi farmaci sono utili nel trattare il fenomeno del “wearing off„ (complicazione motoria iniziale della terapia con levodopa).

Gli effetti collaterali dei farmaci inibitori delle COMT sono di tipo gastrointestinale quali nausea, vomito e diarrea, o a carico del SNC (sistema nervoso centrale) con la comparsa di movimenti involontari (discinesie) e, più raramente, sintomi psichici quali illusioni, allucinazioni visive o deliri. La colorazione rosso-marsala assunta dalle urine del paziente è un effetto collaterale di secondaria importanza e non deve preoccupare.
L’utilizzo di Tasmar è stato sospeso per lungo tempo per alcuni casi di epatite, taluni addirittura mortali, causati da danni al fegato in pazienti ai quali non era stato controllato correttamente il livello degli enzimi nel fegato. Il prodotto è indicato in associazione con levodopa/benserazide o levodopa/carbidopa nei pazienti parkinsoniani responsivi alla levodopa e con fluttuazioni motorie, che non hanno risposto o che non tollerano altri inibitori delle COMT. A causa del rischio di lesioni epatiche acute, potenzialmente fatali, Tasmar non deve essere considerato un trattamento di prima linea in aggiunta a levodopa/benserazide o a levodopa/carbidopa. Tasmar deve essere sospeso se non si manifestano considerevoli miglioramenti clinici entro 3 settimane dall’inizio del trattamento.

Comtan è un inibitore reversibile della COMT a livello periferico. E’ maggiormente utilizzato grazie alla facilità di uso e all’assenza di problemi epatici. Comtan è disponibile come farmaco unico o in formula combinata, Stalevo.

JUMEX (SELEGILINA)

Questo farmaco, indicato per il trattamento della Malattia di Parkinson e dei parkinsonismi sintomatici, è l’unico inibitore delle monoamino ossidasi di tipo B (MAO-B) utilizzato per il trattamento della malattia di Parkinson. La selegilina agisce bloccando la MAO-B, il principale enzima responsabile della degradazione della dopamina. In tal modo, rallentando il catabolismo della dopamina, ne aumentano i livelli nel cervello e, quindi, possono migliorare i sintomi parkinsoniani.

Taluni studi clinici hanno osservato un beneficio neuroprotettivo, anche se minimo, della selegilina utilizzata nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson. Durante il suo utilizzo non deve essere effettuata nessuna dieta particolare. Si raccomanda però di non superare il dosaggio di 10 mg/die, cioè, 5 mg due volte al giorno. La selegilina non dovrebbe essere assunta a tarda sera in quanto può causare insonnia.
Le specialità Jumex 5 mg e Jumex 10 mg (Selegilina) sono, ai fini della rimborsabilità, in “fascia A” totalmente a carico del SSN.
Jumex, è prescrivibile con ricetta ripetibile, senza obbligo di Piano Terapeutico.

RASAGILINA
Rasagilina (Azilect un nuovo inibitore delle MAO-B promette di essere particolarmente efficace per contrastare i sintomi parkinsoniani e potrebbe avere caratteristiche neuroprotettive.

CONCLUSIONI

Per concludere, “l’arte” di trattare la malattia di Parkinson è la capacità di valutare la terapia secondo i bisogni specifici del malato.
Per evitare seri effetti collaterali è bene che la terapia sia il risultato della collaborazione tra il medico e il paziente. Per riuscire ad ottimizzare la terapia, il paziente deve sempre informare il medico di qualsiasi cambiamento del suo stato di salute.

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