Cefalee

Impiego della tossina botulinica nel trattamento delle cefalee

 

L’indicazione più attuale, per cui sono in corso sperimentazioni, riguarda la terapia del dolore. Grande rilevanza sta avendo lo studio degli effetti della tossina botulinica nel campo delle cefalee.

Poiché ogni tipo di cefalea necessita di una sua terapia specifica, una terapia efficace non deve prescindere dal corretto inquadramento diagnostico, che segua una classificazione condivisa. La 2a edizione della classificazione della Società Internazionale per le Cefalee costituisce oggi il riferimento principale per un approccio razionale in cui sono elaborati e condensati molti anni di ricerca scientifica.

Vengono distinte le cefalee primarie (emicrania, cefalea muscolo-tensiva, cefalea a grappolo) e le cefalee secondarie (secondarie a patologie cerebrali, craniali, internistiche o psichiatriche, oltre a quelle derivanti da abuso di farmaci, ad es. analgesici), infine le nevralgie craniali, tra cui la nevralgia del trigemino.

Nella pratica clinica, l’emicrania con le sue varianti è la cefalea più frequente di cui soffrono le persone che cercano l’attenzione del neurologo specializzato. L’emicrania spesso non è riconosciuta, e anche se riconosciuta come tale, spesso non è trattata seguendo semplici, ma in genere efficaci, principi terapeutici. L’elemento più importante per un corretto inquadramento diagnostico di tutte le cefalee è una precisa analisi dei sintomi riferiti (ad es. frequenza della cefalea, localizzazione esatta del dolore, durata, tipo, presenza di altri segni clinici associati come ad es. nausea oppure lacrimazione) e delle circostanze in cui si manifestano. Importante poi assicurarsi tramite la visita neurologica che lo stato clinico-neurologico sia (come quasi sempre avviene) normale. Esami diagnostici strumentali sono spesso necessari; può essere utile (con un sospetto concreto) una TAC o risonanza magnetica cerebrale per escludere cause intracraniche secondarie.

L’emicrania si manifesta nel 10-15% della popolazione; sono colpite più donne che uomini. Interessa un 5% dei bambini, ma generalmente inizia dopo la pubertà, per avere la massima incidenza tra i 35 e i 45 anni. È spesso ereditaria in quanto viene ereditata la suscettibilità ad avere crisi di emicrania che poi si manifestano spesso quando entrano in gioco uno o più dei fattori scatenanti. L’emicrania può essere considerata un fenomeno neurobiologico complesso, legato ad alterazioni transitorie del funzionamento delle cellule nervose senza che siano presenti alterazioni strutturali grossolane del sistema nervoso. Le basi neurofisiologiche dell’emicrania sono ancora oggi poco conosciute; sono comunque coinvolti neurotrasmettitori come la serotonina e proteine della membrana neuronale come la cosiddetta pompa del sodio e del potassio e altri canali ionici della membrana cellulare.

Si conosce una serie di fattori scatenanti che facilitano lo sviluppo di un attacco emicranico (ormoni estrogeni, nel periodo delle mestruazioni oppure se somministrati come anticoncezionali o come terapia sostitutiva dopo la menopausa; alcoolici, in particolare il vino rosso; alcuni cibi, come formaggi stagionati, cioccolato e noci; rilassamento dopo stress sostenuto; rilassamento dopo sforzi fisici sostenuti; digiuno; intolleranza al glutine). Il ruolo dei cibi spesso non è comunque determinante e oggi ridimensionato (sembra anche che ad esempio un eccessivo consumo di cioccolato sia più un sintomo premonitore che una causa delle crisi acute di emicrania). Il fumo, anche di poche sigarette, oppure il fumo passivo è invece un importante fattore scatenante in chi è predisposto ad avere emicrania.

I sintomi dell’emicrania in quasi tutti i casi sono molto caratteristici e da soli permettono la diagnosi. Possono talvolta essere preceduti da sintomi premonitori come cambiamenti dell’umore (euforia, iperattività, irritabilità), aumento dell’appetito in particolare per i dolci, o sete. Circa il 10% dei pazienti soffre di cosiddette ‘aure‘ come disturbi visivi (oscuramento di un campo visivo, linee scintillanti) o disturbi della sensibilità con formicolii; raramente possono manifestarsi sintomi neurologici più importanti, come difficoltà del linguaggio, debolezza muscolare, vertigini e difficoltà della coordinazione motoria (sintomi neurologici focali si manifestano in particolare nella cosidetta emicrania basilare e sono causati da un interessamento del tronco cerebrale irrorato dall’arteria basilare). Il dolore è pulsante e spesso (ma non sempre) localizzato in un lato della testa (‘emi-crania’), è aggravato da attività fisica e accompagnato da un senso di stanchezza, ipersensibilità alla luce e ai rumori, nausea e vomito. Non raramente il dolore è cervicale (la maggior parte delle cosiddette ‘cervicali’ episodiche sono in realtà crisi di emicrania acuta con una localizzazione cervicale del dolore).

Gli attacchi possono durare da poche ore fino a vari giorni e possono essere molto disabilitanti, in genere comportano l’interruzione delle normali attività quotidiane. I sintomi sono completamente reversibili, solo in rari casi possono formarsi piccole lesioni cerebrali per un disturbo della circolazione sanguigna; le persone che soffrono di emicrania, inoltre, hanno un rischio leggermente maggiore di sviluppare un ictus cerebrale. Nel diagnosticare l’emicrania è importante escludere altri tipi di cefalea, come la cefalea muscolo-tensiva, la cefalea a grappolo e la nevralgia del trigemino, che richiedono terapie differenti dalla terapia dell’emicrania. Inoltre, bisogna escludere altre cause di cefalea acuta come emorragie cerebrali o subaracnoidali, oppure trombosi dei seni venosi cerebrali, che possono essere pericolose se non trattate adeguatamente.

Per la terapia dell’attacco acuto sono disponibili vari farmaci: analgesici e antinfiammatori classici, che bloccano la percezione del dolore come acido acetilsalicilico (Aspirina), paracetamolo, ibuprofene, diclofenac; ergotaminici, che causano il restringimento dei vasi cerebrali dilatati: ergotamina, diidroergotamina; triptani, che agiscono sui recettori della serotonina: almotriptan, eletriptan, frovatriptan, naratriptan, rizatriptan, sumatriptan, zolmitriptan. Non è possibile prevedere quale classe di farmaci sia più attiva nel singolo paziente; per questo è importante raccogliere tutte le informazioni sull’efficacia dei farmaci già assunti in passato e provarne sistematicamente l’efficacia cominciando dagli analgesici classici, che molte volte possono essere sufficienti se applicati con un dosaggio adeguato. I vari triptani si distinguono per rapidità e durata dell’azione, in genere non è necessario provare più di due triptani diversi se non sono efficaci. I triptani e gli ergotaminici sono controindicati in pazienti ipertesi, cardiopatici o con un’anamnesi di ischemia cerebrale. Non vanno inoltre somministrati in gravidanza o durante l’allattamento. Vie di somministrazione particolari (spray nasale, iniezione sottocutanea, intramuscolare o endovena) possono notevolmente migliorare la rapidità d’azione e l’efficacia dei farmaci. Gli ergotaminici sono meno efficaci dei triptani, hanno però un’azione di durata più lunga e possono essere utili in pazienti con crisi prolungate. L’aggiunta di antiemetici (metoclopramide, domperidone) potenzia l’effetto dei farmaci, oltre ad agire su nausea e vomito che spesso accompagnano l’emicrania. L’uso cronico dei farmaci qui descritti può a sua volta indurre cefalea, per cui il loro uso va limitato ad attacchi acuti di emicrania.

È frequente nella pratica quotidiana che un’emicrania prima solo episodica sia complicata da una cefalea cronica di rimbalzo indotta dall’uso troppo frequente di analgesici e triptani. I triptani sono particolarmente pericolosi in questo senso per il loro rapido effetto che induce ad un loro uso ripetitivo e alla fine spesso plurisettimanale e perfino quotidiano. In questo caso è necessario la sospensione completa degli analgesici o dei triptani usati, coprendo il dolore con farmaci di natura differente o usando sedativi e anche cortisonici nella prima fase della ‘disintossicazione’. Spesso sono sufficienti pochi giorni per superare la cefalea di rimbalzo, ma è importante prevenire le ricadute, anche tramite un’adeguata profilassi dell’emicrania se indicata.

Oltre alla farmacoterapia dell’attacco acuto è importante la prevenzione dell’emicrania. In primo luogo, è necessario eliminare, se presenti, i fattori scatenanti sopra descritti, tra cui soprattutto il fumo. È inoltre importante che la persona realizzi quali siano situazioni particolarmente stressanti per evitarle. In questo contesto possono essere utili determinate tecniche di rilassamento e biofeedback. Se queste misure non portano ad una sostanziale riduzione degli attacchi, o se gli attacchi avvengono più di 4 volte al mese e sono gravi e protratti oppure accompagnati da deficit neurologici, è indicata la farmacoterapia profilattica. Esistono vari farmaci con dimostrata attività profilattica, la cui efficacia deve essere provata a dosaggi idonei e per periodi sufficientemente lunghi prima che uno di essi venga sostituito con un altro. Nella farmacoprofilassi si usano i beta-bloccanti, che bloccano i ricettori dell’adrenalina che intermedia le reazioni di stress: metoprololo, propranololo; calcio-antagonisti, che influenzano l’attività della muscolatura vascolare come la flunarizina; sostanze che stabilizzano le proprietà elettriche delle membrane delle cellule nervose come gli anticonvulsivi: acido valproico e topiramato; antidepressivi triciclici che modificano l’attività di vari neurotrasmettitori come l’amitriptilina. Sono di scarsa efficacia invece gli antidepressivi SSRI come fluoxetina, paroxetina, sertralina o citalopram). La terapia profilattica deve essere seguita per un periodo di almeno alcuni mesi, durante il quale è importante valutare i possibili effetti collaterali nel singolo paziente. Inoltre, non essendo possibile prevedere esattamente quale farmaco e quale dosaggio siano più efficaci per il singolo paziente, è necessario un adeguamento individuale di questa terapia.

È fino ad oggi controversa l’efficacia di iniezioni di tossina botulinica di tipo A che sembra avere un effetto nel trattamento dell’emicrania cronica, mentre vari studi controllati (v. sez. “Articoli”)hanno escluso un suo ruolo nelle prevenzione delle crisi acute.

Gli studi clinici hanno dimostrato che, per il successo del trattamento e per minimizzare gli effetti collaterali, sono di fondamentale importanza la corretta selezione del paziente, la scelta del dosaggio e dei siti di inoculo, come pure la diluizione e la tecnica di infiltrazione.

La tossina non è da considerare come trattamento di prima scelta nelle cefalee ma è da prendere in considerazione dopo che i trattamenti convenzionali siano risultati scarsamente o per nulla efficaci.

Il candidato al trattamento con tossina botulinica è il paziente che presenta le seguenti caratteristiche cliniche:

  • soggetti con emicrania o cefalea di tipo tensivo con episodi che si presentano con frequenza > a 15 giorni al mese da almeno 3 mesi.
  • Scarsa o nulla risposta alle terapie convenzionali.
  • Scarsa compliance all’assunzione delle terapie farmacologiche (formulazioni orali/rettali/parenterali).
  • Controindicazioni, scarsa tollerabilità ai trattamenti tradizionali o insorgenza di effetti collaterali durante precedente utilizzo degli stessi.
  • Dolore associato a spasmo della muscolatura cervicale, a distonia cervicale, a disfunzioni dell’articolazione temporo-mandibolare.

Le controindicazioni sono relative e non assolute:

  • Gravidanza o allattamento.
  • Diagnosi o sospetto di miastenia grave, patologie muscolari e/o della giunzione neuromuscolare.
  • Trattamento concomitante con farmaci che hanno azione sulla sinapsi neuromuscolare ( aminoglucosidi, tetracicline, polimixine, curari).

I commenti sono chiusi.